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Lo seguirono sotto casa, a Quarrata, e lo picchiarono perché non doveva ribellarsi alle condizioni di sfruttamento in cui lavorava all’azienda Acca di Seano, attiva nel settore della logistica e del facchinaggio. La vittima era Zaka, del Pakistan e allora aveva 26 anni e si era appena rivolto al sindacato Si Cobas (oggi Sudd Cobas) per denunciare le proprie condizioni lavorative e l’applicazione del contratto nazionale di lavoro. Era l’8 agosto 2023.
La lotta degli operai andò avanti, anche organizzando gruppi per accompagnare a casa gli operai a fine turno, anche quando il turno finiva alle tre di notte e ottenne migliori contratti di lavoro.
Ieri il Tribunale di Prato, su richiesta della Procura guidata da Luca Tescaroli, ha disposto quattro misure cautelari per altrettante persone accusate di quella e di altre violenze: a vario titolo, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro aggravato dall’uso della violenza e della minaccia (gli operai li indicavano come “caporali”), rapina aggravata, lesioni personali plurime conseguenza degli agguati ai lavoratori.
Per due cinesi di 39 e 40 anni e un pachistano 56enne è stato disposto il divieto di dimora nella provincia di Prato, mentre per un pakistano di 45 anni – considerato il capo dell’organizzazione – sono stati disposti gli arresti domiciliari.
Sarebbero, secondo la Procura, il braccio operativo di una struttura ben più ampia e sistemica di sfruttamento. La Acca sarebbe una delle aziende bersaglio dei pacchi-bomba fatti esplodere simultaneamente il 16 febbraio scorso nel pratese e riconducibile alla cosiddetta “guerra delle grucce”. Scontri da imprenditori cinesi nell’ambito dei quali gli inquirenti – antimafia compresa – pensano di poter leggere anche quanto accaduto lunedì 14 aprile in via Prenestina a Roma, dove marito e moglie di 56 e 38 anni, entrambi cinesi, sono stati freddati con sei colpi di arma da fuoco alla testa da un killer che li ha attesi sotto casa. L’uomo ucciso figurava come imputato in una maxi inchiesta della procura di Prato del 2018 coordinata dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Firenze, sull’attività illecita cinese nel campo dell’abbigliamento e della logistica. L’inchiesta fece emergere la presenza nella città toscana di figure di vertici in tutta Europa, della mafia cinese, collegate alla madrepatria.
La lotta degli operai andò avanti, anche organizzando gruppi per accompagnare a casa gli operai a fine turno, anche quando il turno finiva alle tre di notte e ottenne migliori contratti di lavoro.
Ieri il Tribunale di Prato, su richiesta della Procura guidata da Luca Tescaroli, ha disposto quattro misure cautelari per altrettante persone accusate di quella e di altre violenze: a vario titolo, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro aggravato dall’uso della violenza e della minaccia (gli operai li indicavano come “caporali”), rapina aggravata, lesioni personali plurime conseguenza degli agguati ai lavoratori.
Per due cinesi di 39 e 40 anni e un pachistano 56enne è stato disposto il divieto di dimora nella provincia di Prato, mentre per un pakistano di 45 anni – considerato il capo dell’organizzazione – sono stati disposti gli arresti domiciliari.
Sarebbero, secondo la Procura, il braccio operativo di una struttura ben più ampia e sistemica di sfruttamento. La Acca sarebbe una delle aziende bersaglio dei pacchi-bomba fatti esplodere simultaneamente il 16 febbraio scorso nel pratese e riconducibile alla cosiddetta “guerra delle grucce”. Scontri da imprenditori cinesi nell’ambito dei quali gli inquirenti – antimafia compresa – pensano di poter leggere anche quanto accaduto lunedì 14 aprile in via Prenestina a Roma, dove marito e moglie di 56 e 38 anni, entrambi cinesi, sono stati freddati con sei colpi di arma da fuoco alla testa da un killer che li ha attesi sotto casa. L’uomo ucciso figurava come imputato in una maxi inchiesta della procura di Prato del 2018 coordinata dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Firenze, sull’attività illecita cinese nel campo dell’abbigliamento e della logistica. L’inchiesta fece emergere la presenza nella città toscana di figure di vertici in tutta Europa, della mafia cinese, collegate alla madrepatria.
Marta Quilici